Dylan Dog: fumetto d'orrore, fumetto d'autore. Ma, soprattutto, fumetto popolare italiano.
Con Oggi sposi (n.399, novembre 2019) e con E ora, l'apocalisse! (n.400, dicembre 2019) Dylan Dograggiunge un nuovo traguardo.
Al di là (aldilà?) delle quattrocento uscite.
Fumetto d'orrore, fumetto d'autore. Ma non più fumetto popolare italiano.
La cosa era già in essere, da tanto tempo.
Cerchiamo di capire insieme, in primis, cosa è un fumetto popolare italiano.
È un'opera con pilastri fissi, con schemi che ricorrono, con cliché ben definiti.
Un fumetto popolare italiano è Diabolik che a fine albo bacia Eva.
È Tex che si lancia in una nuova sparatoria contro arroganti banditi.
È Martin che parte alla scoperta di un nuovo mistère in giro per il mondo.
È Julia che deve risolvere un nuovo giallo.
Ogni mese, così. Con qualche variazione sul tema, ma sempre con storie singole e riconoscibili, ma soprattutto fruibili a sé.
Ecco: da tempo ormai Dylan Dog ha rinunciato a tutto questo. Da cento numeri almeno.
E non è l'aggiunta di un nuovo rivale (John Ghost) quanto più il cambiamento di altri parametri, tipo Bloch mandato in pensione.
È come se fosse Zenigata ad andare in pensione: Lupin non sarebbe lo stesso. Come se Doreamon scegliesse di vivere da un nuovo bambino al posto di Nobita.
Dylan Dogè sempre stato un fumetto d'autore, ma era anche un fumetto popolare italiano.
Ne prendevi un albo a caso sicuro (quasi) sempre di trovare una storia che iniziava e finiva, e che conteneva quegli elementi per cui lo leggevi. Con una ennesima nuova donna ogni mese.
Non è un caso che anche proprio quest'ultimo cliché viene citato, in uno dei due numeri (399 e 400) che tutto chiudono per poi riaprire.
Che si andasse a parare nella metanarrazione de-strutturativa mi era chiaro (ne avevamo parlato QUI), ma francamente pensavo che si chiudesse un lunghissimo ciclo per tornare un po' indietro.
Ma non sarà così. E, in effetti, è giusto: ormai è inutile tornare indietro.
Dylan Dog non potrà mai più essere un fumetto popolare, di quelli che prendi un albo a caso e te lo godi, perché ormai ha cambiato genere. Ha una continuity più serrata, ha episodi concatenati e intere run che si dipanano su più numeri.
Questa della meteora ne era solo una all'interno del quadro più grande -la gestazione di Roberto Recchioni- che aveva già da subito scadinato il senso di fumetto popolare per Dyd.
E infatti, guardacaso, dal 401 arriva un nuovo ciclo in sei "puntate", chiamato 666.
E per quanto il tutto sia metanarrativo (a volte anche stucchevole, pure se ironizzano proprio su questo), mettendo in discussione il lavoro stesso svolto finora (negli ultimi cento numeri ma anche andando indietro fino agli esordi), Dylan Dog non potrà più essere quello che conosciamo.
Non so nemmeno cosa potrà mai diventare, dove andrà a finire tra arte e visioni, tra scrittura (creativa) e immaginazione.
Non è più un personaggio dei fumetti, non ha più nemmeno un padre.
Sta per ricominciare da zero (anzi da 401, o da 666) ma cosa vorrà raccontarci?
Chi può dirlo.
Di certo sarà da seguire, e lo seguiremo pure. Ma deve ricordare come è nato, e perché.
Non può essere un Mercurio Loi se in origine era un Mister No. Potrebbe provare a diventare un Dampyr, ma ha fondamenta alla Zagor.
Ma mi manca quel Dylan Dog con cui sono cresciuto, e che forse avrà anche stufato -come vogliono lasciar intendere gli autori tra le righe delle pagine ora in edicola-.
Ma il fumetto popolare italiano non stufa mai, se ben gestito.
È fatto per durare nel tempo, virtualmente anche all'infinito. Eterno.
È vero che la meteora è arrivata portando l'apocalisse: ma questa ha colpito solo Dylan Dog, non tutti i fumettosi invitati al suo matrimonio.
Per fortuna.