Oggi cedo la parola a Denny, sempre pronto a parlarci di controsensi dell'età contemporanea specie nel campo dei nuovi sistemi di comunicazione, o fenomeni che gravitano attorno al mondo odierno.
L'app Immuni non l'ha scaricata nessuno, molti lo hanno fatto ma non l'hanno mai attivata correttamente, tantissimi hanno gridato al complotto: verremo schedati, il Poteri Forti™ e gli Illuminati® ci controlleranno, e via dicendo ogni puttanata da minorati.
E queste assurdità venivano scritte, magari, proprio su un social.
Immuni no, ma per le cento euro di cashback abbiamo venduto pure l'anima.
In questo scenario di miserabile pochezza umana, Denny ci spiega perchè siamo costantemente controllati...
Social, smartphone, geolocalizzazione, gps, telecamere di pubblica sicurezza, autovelox, Alexa, Google, internet in generale fino all’antichissima targa dell’auto… siamo costantemente seguiti, ripresi, fotografati, schedati e tracciati da ciascuno di questi sistemi. Ma questo lo sappiamo benissimo. E allora perché questo post?
Questo post nasce da un pensiero momentaneo, che mi lampeggiò davanti l’estate scorsa quando l’Italia, davanti all’attuale numero di 80.000 decessi da covid-19 (pari ai morti di quelli di 230 terremoti di Amatrice o dell’Aquila) si scandalizzò e si insospettì per la nascita dell’app Immuni, che avrebbe dovuto tutelarci da potenziali contagi grazie ad un algoritmo crittografato – l’unico ad aver garanzia di non tracciabilità dei dati.
Sì, ci fece insospettire, eppure noi italiani ormai abbiamo accettato tutto: abbiamo regalato i nostri dati ai social ormai da quasi 15 anni.
Chiunque voglia informazioni su di noi, basti che si faccia un giro sui nostri social o su quelli di altri dove in qualche modo compariamo comunque.
Sì, possiamo avere tutti nomi fittizi e profili chiusi, ma una centinaia di “amici” (oggi si chiamano followers) ce l’hanno un po’ tutti, quindi figurarsi quanti giri possa far una sola delle nostre foto o una sola informazione.
Ma se ci crediamo al sicuro dalle persone, ci pensano gli algoritmi a fare il resto e da lì non si scappa: questi conoscono i nostri stati d’animo, il nostro pensiero politico e religioso, la nostra sessualità, i nostri gusti musicali e cinematografici… conservano la nostra fisionomica grazie alle nostre foto (da qui nascono le deepface talvolta simpatiche e talvolta inquietanti), sanno cosa e come vestiamo, e da lì un’altra stilata di gusti e preferenze.
Poi abbiamo gli assistenti virtuali: Siri, Google, Alexa, Cortana… questi dispositivi da qualche anno si sono inseriti nella nostra quotidianità.
Ad essi chiediamo di puntare la sveglia, di ricordarci un promemoria, di suggerirci la ricetta di un dolce, o la data della rivoluzione americana. Eppure, siamo convinti che questi dispositivi ci ascoltino solo quando li interpelliamo.
No, non è così: essi ci ascoltano e ci registrano sempre, in momenti diversi, per riportare le nostre conversazioni agli impiegati e fornitori che son dietro a queste IA.
Motivo? Per aiutarci meglio… ah no, non è una paranoia, è stato confermato da Amazon stesso per la sua Alexa. Sì, possiamo definirli microfoni ambientali a tutti gli effetti, con la differenza che nessuno li piazza di nascosto per noi.
A tutti è capitato di parlare di un prodotto a cena e di ritrovarselo spammato sul cellulare un’ora dopo… no, non è una coincidenza… i nostri microfoni sono sempre accesi per gli algoritmi, e i ricercatori lo sanno. Forse noi un po’ meno.
Vogliamo parlare dello smartphone?
Google è affamato di dati degli utenti, non è un mistero se solo leggessimo ogni tanto qualche sentenza della Corte di Giustizia Europea o dei dossier come quello del Prof. Douglas Schmidt, docente di Computer Science in un’Università del Tennessee. Cosa dice? Riassunto all’osso dice che Google ci spia 24 su 24 su ciascuna delle sue piattaforme e, udite udite, anche a smartphone spento. Ovviamente, gps compreso.
Sì, sanno dove andiamo pure con la batteria morta.
Ultimi ma non ultimi sono gli smartwatch: loro sanno essere più invasivi, eppure nessuno ci costringe a comprarli. A differenza degli altri dispositivi, loro possono accedere al nostro battito cardiaco e pressione arteriosa. Sembra una stupidaggine, ma dal solo battito cardiaco si può tracciare un profilo medico e psicologico infinito di un utente, e se questo dato lo associamo all’esperienza del momento a cui questi motori di ricerca possono accedere, diventiamo praticamente delle pedine perfette per l’universo della compravendita dei dati e del consumismo.
E qui si conclude il mio pensiero.
Abbiamo dato le nostre generalità a questi server, permettiamo di controllare dove siamo, li facciamo accedere alle nostre foto e rubriche private, permettiamo loro di ascoltarci costantemente, li autorizziamo a monitorarci 24h su 24h… eppure, se queste tecnologie dovessero servire per la nostra salute pubblica, mostrandoci tutte le garanzie necessarie per la tutela della nostra privacy, cominciamo a sentire puzza di bruciato.
Quindi sì, forse tutto questo semplicemente ce lo meritiamo.
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