Marco Tullio Giordana dirige questo film-TV sul delitto che tolse la vita alla giovanissima Yara Gambirasio.
A produrlo, la Taodue Film di Pietro Valsecchi, assieme alla RTI.
Ma Yara -questo il titolo dell'opera- arriva su Netflix, pur avendo origini lontanissime.
Un film asciutto, concreto, che sicuramente potrà innescare qualche discussione sul "non è bello spettacolarizzare eventi del genere", ma eventi del genere sono sempre stati trasformati in film o serie televisive, da che mondo è mondo.
Lo sa la Taodue, che negli anni ha affrontato la vita di Totò Riina (ne Il capo dei capi, accusato di fare iconografia positiva della mafia) o di Provenzano (L'ultimo padrino), ma anche casi di cronaca come ne Il delitto di Via Poma, Uno Bianca, Il sequestro Soffiantini.
Non è da meno il regista, che negli anni ha raccontato la rabbia dopo i fatti dell'Heysel (Appuntamento a Liverpool) o le morti di Pasolini (Pasolini, un delitto italiano) e di Peppino Impastato (I cento passi).
Yara si inserisce dunque in questo filone, ma non è una docu-fiction.
Necessita di personaggi di fantasia, personaggi-contenitore (di vere persone, vere emozioni e cantori di fatti reali) per piegare gli avvenimenti (senza stravolgerli) ai ritmi della narrazione.
Yara nasce tant tempo fa: Valsecchi si interessò a questa vicenda già nel 2014, per trarne una fiction in due puntate.
Il progetto è maturato nel tempo, e tante cose sono cambiate.
Quel che oggi su Netflix si chiama Yara, doveva in realtà essere Ignoto 1: ma se il tempo è passato, l'idea non è mutata.
La volontà della Taodue era quella di raccontare l'indagine, non l'omicidio.
Il lavoro di magistrati e investigari, il lungo processo che ha permesso di risalire all'identità dell'assassino (che comunque continua a dichiararsi innocente).
Dalle pagine di Davide Maggio, possiamo ricordare che nel 2014 la Taodue pensò a questo Ignoto 1, per due serate su Canale 5.
Regia di Alexis Sweet, pieno rispetto per la famiglia della vittima e un racconto che puntava a ricostruire tutto l'iter con cui si arrivò a capire chi fosse il colpevole.
Iter che, diciamocelo, ha davvero molti punti particolari.
Prestandosi bene quindi a narrazioni su grande o piccolo schermo: DNA che portano a parenti e quindi a figli illeggittimi, tamponi a tappeto e alcool test come trappole per incrociare questi dati.
Di sostanza, anche per il racconto televisivo, ce n'è sempre stata.
L'indagine sull'omicidio della tredicenne di Brembate ha già di suo materiale da poterci coprire una stagione di un poliziesco.
Ignoto 1 evolve e diventa Yara: lei è l'assoluta protagonista -fuori schermo- della vicenda.
Si indaga per lei, tra tanti salti temporali.
Diceva Valsecchi, nel 2014: "traendo ispirazione dalla realtà cronachistica, la miniserie avrà come protagonista un capitano dei Carabinieri impegnato in un caso che andrà risolto con tenacia, capacità investigativa e impiego delle più innovative metodologie di indagine scientifica. È un ruolo molto importante sul quale stiamo cercando un attore di grande prestigio".
Ma con Netflix e dopo sei anni di gestazione, i protagonisti si sono sdoppiati: quel capitano dei Carabinieri è stato individuato nel bravissimo Alessio Boni, mentre la vera protagonista è il PM Letizia Ruggeri (interpretata da un'ispiratissima Isabella Ragonese).
E così, viene aggiunto un po' di quel sottotesto femminista che oggi non guasta mai (a lei viene quasi suggerito di farsi affiancare da un uomo, perché pensato "più capace" rispetto a una donna); sottotesto che la Taodue aveva trattato già in ben altri modi, fuori da ogni deriva smaccatamente politically correct, in passato: si pensi alla Giovanna Scalise di Isabella Ferrari, in Distretto di Polizia (QUI una retrospettiva completa).
C'è anche qualche accenno di politica, col la questione Mohamed Fikri (primo sospettato, ma a causa di una traduzione errata di alcune intercettazioni dall'arabo) e l'antipatico parlamentare interpretato da Rodolfo Corsato, oltre che vaghi (forse non voluti, ma inevitabili al pensiero) parallelismi con la situazione pandemica in corso, per la storia delle lunghe file di tamponi a tappeto "fatti in un modo quasi anticostituzionale".
Marco Tullio Giordana sa essere avvolgente e caloroso pur restando giustamente distaccato, e pur muovendosi spesso in ambienti freddi e umidi.
La sua bravura è quella di fermarsi sempre prima di risultare voyeuristico; la sua cinepresa non indugia mai oltre il necessario, grazie anche a una sceneggiatura (di Graziano Diana, che subentra a Fiorenza Sarzanini pensata nel 2014) solida e senza fronzoli, che racconta solo il necessario (anche e soprattutto della famiglia Gambirasio).
Yara può inizialmente sembrare di avere quel tipico mood da fiction di Canale 5 (pensiamo a quanto sia diversa visivamente, ad esempio, dalla recente miniserie Alfredino di Sky, per restare nello stesso genere), poi però ci abituiamo a quello che è: una storia diretta con estrema asciuttezza e pacatezza, che rinuncia a ogni orpello e funziona bene anche senza creare tensioni narrative tipiche del crime e del poliziesco. Ambientazioni e scenari curati nei dettagli, con qualche inghippo solo per la neve finta (ma ci vuole occhio per notarlo).
L'unico difetto, è che purtroppo Yaraè un film tratto da una storia drammaticamente vera.
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