Serie chiacchieratissima, violenta, metaforica.
Non qualcosa di mai visto:Squid Gamerientra nel novero di opere come Battle Royale, As the Gods Will e Alice in Borderland (a cui sembra peraltro guardare).
Con influenze rintracciabili anche nell'americana trilogia di Hostel.
Eppure Squid Game ha saputo essere originale.
Vediamo cos'è e perché ha riscosso così tanto successo: unico avvertimento, l'articolo contiene spoiler sulla trama.
Snoccioliamo subito un paio di numeri: Squid Game (“il gioco del calamaro”) ha registrato 150 milioni di utenti Netflix solo nel primo mese di uscita in tutto il mondo.
1,65 miliardi di ore guardate solo nei primi 28 giorni.
Il fatturato di Netflix, solo per questa serie, sfiora il miliardo di dollari a fronte di un budget di 24 milioni, fruttando 41 volte tanto.
Ad ottobre è al primo posto in 94 Paesi.
Ha superato in un lampo il record di streaming di Bridgerton, Stranger Things e La Casa di Carta.
Un, due, tre, stella!
Squid Game, se ha una formula magica, è proprio questa. E si rifà al primo gioco mortale a cui i protagonisti, ancora ignari, si prestano.
456 giocatori che si ritrovano in questo non luogo a dover giocare gare apparentemente semplici che si rifanno a giochi bambineschi della tradizione sudcoreana, ma che sono stati orditi da menti acute e maniache per scopi ricreativi per profili VIP: ricconi annoiati che amano gingillarsi in questo spettacolo mortale da loro finanziato.
Il giocatore n. 456 è anche il nostro protagonista, Seong Gi-hun, un uomo e padre divorziato oberato di debiti che vive con l’anziana madre.
E sono proprio i debiti il massimo comune divisore che unisce tutti i giocatori di Squid Game: se sei lì, è conseguenza del fatto che sei stato reclutato e hai accettato di partecipare a questo gioco perché i debiti dei vizi e della vita ti stanno divorando l’esistenza.
Ciascuno dei 456 giocatori viene diligentemente attenzionato da un deus ex machina che si cela dietro a tutto questo, e che cerca di eleggere i candidati perfetti.
Ma i giocatori, almeno fino alla prima prova, non sanno che cosa stiano effettivamente giocando e che nel “gioco del calamaro” il sostantivo “eliminato” non è una metafora di ludica terminologia, ma ha un significato prettamente letterale ed epigrafico che vuol dire: morte del giocatore.
Ed ecco che i candidati si ritrovano a combattere tra il gioco e la morte che si trapunta su tessuti scenografici coloratissimi dentro ai quali un corrotto meccanismo di eliminazione si interseca tra una prova e l’altra.
Ma dietro a questo fiume di sangue, di scene a volte raccapriccianti e talvolta al limite del black humor, un montepremi da capogiro alletta i giocatori: 45.600.000.000 di ₩.
Il gioco numerologico dei 456 giocatori è alquanto lampante.
Il corretto svolgimento dei giochi è garantito dalle guardie di rosso vestite e con maschere nere dove appaiono tre simboli geometrici: il cerchio, il triangolo e il quadrato.
Non sono geometrie che il regista, Hwang Dong-hyuk (anche sceneggiatore e produttore) mette lì per caso, ma tutto ha un significato figurato e figurabile che è un piacere indagare durante la serie.
A capo di tutto questo c’è il Front Man: mantello grigio scuro e maschera simil-metallica che per certi versi ricorda quella di Loki.
È il “CEO” di questo lugubre CONI sudcoreano: è il Big Brother orwelliano che sceglie i giochi dei 456 candidati, ed è anche a capo dei guardiani a cui questi soggiacciono.
Il Front Man è anche un giudice imparziale, sovrintendente e garantista della sinistra sorte notarile dei giochi, per regalar agli ospiti VIP veri e propri teatri ricreativi lastricati di sangue.
I VIP sono personaggi celati dietro una maschera aurea a rappresentare animali di varie specie, che vestono i panni del pubblico spettatore e finanziante di questa macelleria dalla trionfante policromia.
Una serie precipitata sulla Terra come la cometa di Chicxulub.
Una serie inattesa che ha vibrato un colpo globale attraverso l’etere di Netflix, ritagliandosi in tempi record un posto nell’olimpo delle serie tv del XXI secolo nel bel mezzo dell’era dello streaming.
Squid Game non è solo la coloratissima serie mascherata dove 456 giocatori subiscono gli strali degli stenti esistenziali pronti a giocarsi il loro ultimo all-in, ma è un trattato socio-antropologico che decortica l’umana esistenza fatta di equilibri precari dettati dal denaro, dal potere e da un’ingordigia nauseabonda che ci spinge a desiderare sempre di più, fino ad arrivare a non saper più cosa desiderare.
Una serie che può davvero spingerci, finalmente, a tuffarci completamente nel fascino delle opere orientali.
Stiamo iniziando ad apprezzare e a riconoscere il loro valore artistico e cinematografico che negli ultimi anni, dopo Parasite (QUI la recensione), si sta prendendo il suo spazio anche nel mondo occidentale.
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