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[FILM] Fight Club: alcune riflessioni (di Francesco "AkiraSakura" Messina)

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Tratto dal romanzo di Chuck Palahniuk, Fight Clubè un film divenuto autentico cult.
Un film sul "doppio", ma anche sulla società dei consumi e sul mondo di fine millennio che stava per collassare, portando con sé le oscure novità di oggi.
Ospito con immenso piacere Francesco "AkiraSakura" Messina del blog Bokura-no Kakumei (QUI), che ci regala alcune riflessioni analitiche sull'opera (e non solo...).


Voglio scrivere en passant questo breve articolo per un blog che parla di nostalgia, perché alla fin fine, la mia vera nostalgia è quella verso certe opere di intrattenimento degli anni Novanta/inizio Duemila. Ma non tanto perché mi sento legato alla mia giovinezza o qualcosa del genere.
Francamente, non la rimpiango affatto, né mai la rivivrei, e sono felice che la mia vita vada avanti, senza alcuna forma di stasi, a parte quella che mi può imporre una società-colabrodo reduce di una pandemia globale.
La cosa che rimpiango, pertanto, è un tempo in cui i prodotti di intrattenimento erano più liberi, più riflessivi, più “autocoscienti”.
Non esisteva ancora il politicamente corretto e l’annessa censura; il consumismo era sì scoppiato ma almeno, essendo appena arrivato nella sua fase decadente, qualcuno si chiedeva il perché e il percome del suo mutamento.





Si era passati dalla “Coca Cola che salva il mondo” degli anni Settanta, l’epoca felice dei boomer, che nel consumo avevano visto la salvezza dell’umanità, ai disastri sociali post Guerra fredda (i.e. la nascita del capitalismo leggero, la globalizzazione tecnologica/tecnocratica e quelle cose lì).
Il 1999, poi, era l’anno in cui si credeva che sarebbe successo chissà che cosa.
E il Millennium Bug, e il terrore informatico, gli attentati terroristici, eccetera, eccetera.
E qui arriviamo a Fight Club.
In questo film abbiamo un uomo che non è più felice del suo status di consumatore, wow.






Oggi magari questa cosa può sembrare un cazzata, soprattutto per i più giovani, perché il consumismo ormai è diventato consumismo dell’immagine, e tutto ruota intorno a essa: e l’immagine non richiede né significato, né significante.
Oggi si consumano le persone, non gli oggetti. E le persone sono gratuite.
Detto questo, torniamo a Fight Club, nel 1999.
C’è lui che nel suo status di consumatore si sente inadeguato, che deve andare nei ritrovi di malati terminali o alcoolisti anonimi per sentirsi meglio con se stesso.
Ovviamente incontra la belloccia imbottita di Xanax: oggi lo chiamerebbero disturbo borderline di personalità, una patologia ormai molto comune tra le ragazze.
"Incontra" anche il suo doppione chad, perché lui si sente incel e non meritevole di potersi accoppiare con la belloccia; deve andare negli scantinati a fare a botte, anche con se stesso, sempre per gli stessi motivi per cui andava a sentire i pianti dei malati di tumore.



  
La cosa poi evolverà in una setta terroristica (così come un ritrovo di otaku impazziti, nel Giappone degli anni Novanta, diventò l’Aum Shinrikyo: la setta che nel ‘95 avvelenò la metropolitana di Tokyo col Sarin).
Fight Club, pertanto, come molte altre opere di intrattenimento del suo tempo, ci dice “Ehi, guarda che diventerà tutto così, eh! Occhio!”.
E infatti, penso che le sue previsioni siano corrette, e valide ancora oggi.





Magari non ce ne rendiamo conto perché siamo, come dicevo, drogati dalle immagini, che di per loro non vogliono dire niente, ma siamo sempre lì: i forum dove si vuole diventare chad come Brad Pitt e ci si lagna della propria inadeguatezza; il dilagare delle malattie mentali e del disagio sociale; l’infelicità dell’acquisto compulsivo.
E poi, le botte. Botte da orbi: a scuola, in casa, per le strade. Per cosa? Per niente, soltanto per gridare al mondo che si esiste, quando in realtà si è soltanto delle mere fotine nel database di qualche mainframe di qualche azienda di Silicon Valley.

articolo di Francesco Messina


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