Sempre più spesso mi capita di leggere accesi dibattiti sulle censure apportate dalle emittenti italiane ai cartoni animati giapponesi: un fenomeno che da anni scalda gli animi e che ha vissuto esso stesso varie fasi. Premesso che la censura è sempre una scelta arbitraria di pochi su molti, è vero pure che oggi abbiamo gli strumenti per affrontare questo discorso senza paraocchi. Né quelli del fanatismo otaku "duro e puro", né quelli del fanatismo televisivo.
Prima di iniziare, vi ricordo che il seguente post è strettamente connesso alla grande panoramica che sto portando avanti, formata da diversi altri articoli (tutti recentemente e costantemente aggiornati).
Vi invito pertanto a leggere, cliccando sul titolo, anche:
- la storia dei MANGA in Italia
- la storia degli ANIME in Italia
- la storia degli SHŌJO in Italia
- la storia degli EDITORI anime/manga in Italia
Ultimamente io stesso mi sono beccato l'accusa (ovviamente infondata) di essere pro-Mediaset.
Semplicemente, sono solo una persona a cui piace capire come vanno (e come sono andate) le cose, scavando se necessario; l'attuale lavoro nell'editoria e il ritorno dei magazine di settore mi/ci hanno permesso inoltre di visionare materiali esclusivi e di sentire approfonditamente diverse personalità che, all'epoca dei fatti, c'erano.
Io stesso ho scritto più volte, su rivista, riguardo le censure italiane: il post che segue è una veloce summa di quanto affrontato su «Anime Cult» 21 e 23, nonché su «Cartoni e TV Cult», editi da Sprea.
Voglio scrivere queste righe proprio come riassunto generico di quanto è venuto fuori da quegli articoli, che vi invito a recuperare per avere un quadro più definito e ricco, completo inoltre di schede e documenti.
I CAMBI? SEMPRE ESISTITI
I prodotti giapponesi arrivati in Italia hanno sempre subìto un'opera di localizzazione, di adattamento (anche estremo) e di censura.
Sin dagli anni '60, coi primi film animati, si ebbero esempi di nomi cambiati (Anju e Zushiomaru diventano Anna e Robin), titoli cambiati in altri dal suono più europeo, altri già passati per i cambiamenti americani che noi mutiamo ulteriormente (Saiyuki, prima Alakazam in USA, poi Ercolino da noi).
Non mancavano i tagli veri e proprio, come quelli apportati dalla Rai nel 1972 al lungometraggio La volpe a nove code, epurato delle sequenze più violente non adatte al pubblico della Tv dei Ragazzi.
Addirittura si occultavano i nomi dei registi americani o si inventavano nomi americani per "vendere" meglio il prodotto provando a sorvolare sull'origine orientale dello stesso.
Una forma di razzismo, ma dalla matrice meramente tecnica ed economica: il Giappone era lontano e poco pratico, guardato con sospetto (esattamente come si guardava fino a pochissimi anni fa alla Cina...) e questa sarà una delle motivazioni-cardine alla base di tanti cambiamenti a venire.
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Gil Gelson, Alice... ovviamente tutti nomi inventati! |
Un'altra motivazione era l'idea, sottotraccia, di bassa qualità o di meccanizzazione dell'animazione, prodotta industrialmente.
Gli stessi addetti Toei affermarono, negli anni '90, che quando erano loro ad occuparsi in subappalto dei prodotti americani, non appariva da nessuna parte nei credits il loro coinvolgimento, per non scoraggiare le televisioni all'acquisto: il Giappone era ancora visto con sospetto, specie dopo le accuse ricevute ai suoi prodotti (per approfondire: «Anime Cult» 24, gennaio 2025).
Accuse di essere prodotti violenti.
VIOLENZA!?
Tutto nacque con UFO Robot Goldrake e la prima invasione che portò tanto sulla Rai quanto sui canali minori tutta una serie di cartoni animati mai visti: storie con un inizio e una fine, drammatiche, ricche di emozioni e forti sentimenti.
Goldrake arrivò in Rai dalla Francia, che aveva già provveduto a cambiare i nomi di personaggi e robot: quindi anche lì si erano posti il problema di localizzare il prodotto, non è certo un'idea italiana.
Il Goldrake Rai non è nemmeno completo, dato che qualche episodio venne saltato (e mandato in onda solo moltissimi anni dopo).
Le Tv minori, portavoce dell'invasione, si lanciarono all'acquisto di tantissime serie dal Giappone: costavano molto meno rispetto a quelle Disney, Hanna e Barbera, Warner Bros., e piacevano tantissimo al pubblico. Tuttavia le lavorazioni italiane erano spesso imprecise e incomplete, con poca cura tanto nel doppiaggio (ci sono diverse serie dove solo 4 oppure 8 doppiatori prestano la voce a tutti i personaggi...!) quanto nell'adattamento.
Anche in questa fase, sia Rai che delle televisioni locali (magari consorziate) si hanno esempi di personaggi dai nomi cambiati ed episodi del tutto omessi.
Possiamo citare due titoli che poi, paradossalmente, sarà Mediaset a restituire in forma più fedele all'originale: Dottor Slump & Arale e Doraemon (ricordate? Sulla Rai il giovane Nobita si chiamava Guglielmo... e non fu certo una delle assurde trovate Fininvest!).
Parliamo appunto della Fininvest: mentre la Rai poco a poco rinuncia a nuovi titoli nipponici, è l'azienda di Berlusconi (che nei primi anni '80 acquisirà anche Italia 1 e Rete 4 - cliccate sui nomi per leggere la storia dei canali!) a crescere e trasmettere tante serie giapponesi.
Sotto la guida di Alessandra Valeri Manera, Canale 5 dismette gli anime e tutto passa a un rinnovato Bim Bum Bam, costruito su misura per una fascia ragazzi rassicurante per bambini e genitori.
Lo stesso avviene anche con Ciao Ciao.
In sostanza, spariscono storie troppo crude o con risvolti problematici (scene violente o eccessivamente d'azione) per lasciare spazio a titoli sportivi, quotidiani, magici se non addirittura "rosa".
Peraltro, dopo le accuse di violenza in Italia, anche i giapponesi iniziarono a produrre perlopiù cose "tranquille", vendibili senza problemi e che non necessitano di chissà quale intervento censorio presso le nostre televisioni.
LA PARABOLA FININVEST
I cartoni giapponesi arrivati su Italia 1 e Rete 4 presentavano un adattamento dall'approccio vario, che poi gradualmente è diventato unico (ed estremo): si passa da L'Incantevole Creamy, dove sopravvivono ambientazioni e nomi giapponesi (non tutti) a Mila & Shiro (la protagonista divenne Mila al posto di Yu...), per arrivare a Kiss me Licia e Occhi di Gatto, dove il Giappone (r)esiste ma per praticità i nomi dei personaggi sono tutti mutati in altri dall'assonanza italo-occidentale.
Infine, il Sol Levante, forse ancora scomodo e poco pratico con le sue "strane" usanze (costumi, società, festività, cibo...) sparisce definitivamente dalla citazione diretta (peraltro con "salti mortali" spesso imbarazzanti), e la censura trova il suo picco massimo in Orange Road (È quasi magia, Johnny).
È chiaro che, a monte, il ragionamento fu il seguente: nomi e situazioni troppo giapponesi risultano ostiche ai bambini italiani. Non c'è tempo per spiegare alcune cose, quindi si occulta tutto virando il più possibile all'occidentale.
Non era certo un solo ragionamento di Fininvest, visto che pure sulle altre reti si avevano Gigi per Kappei o Nino per Kanzo Hattori...).
Niente di nuovo: lo stesso Mickey Mouse è diventato Topolino, no? Più facile da ricordare e da gestire.
E provate a guardare i film americani dagli anni '70 agli anni '90: quante cose venivano cambiate? Nomi di dolci, di feste (Halloween, che spesso passava per Carnevale o Ognissanti) e di persone... per arrivare meglio al pubblico finale, quello italiano.
MA PERCHÈ COSTRINGERSI A CENSURARE?
I cartoni animati sono per bambini: questo era il pensiero comune che ha portato a dover mandare in onda ogni tipo di serie animata in contenitori pomeridiani o preserali. Non c'era la concezione di opere per adolescenti o adulti.
Non c'era nemmeno il vantaggio economico di trasmissioni differenziate, perché il pubblico adeguato non esisteva, e comunque dobbiamo sempre ricordarci che i cartoni animati portavano dietro tutta una serie di merchandising (diretto o indiretto) su cui si reggeva la loro stessa esistenza in palinsesto. E questo merchandising aveva sempre un unico target: i bambini.
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dal mio articolo su «Anime Cult» 21 |
Alla domanda "perché non trasmettere dunque serie già pensate a monte per un pubblico infantile, evitando di censurare opere come Sailor Moon?"è persino facile rispondere: le serie per l'infanzia non avevano il benché minimo appeal sul pubblico (ricordate certi prodotti americani?), e comunque i gadget e le bambole di Sailor Moon dovevano essere venduti... ai bambini!
Consideriamo inoltre la differenza di sensibilità riguardo alcuni argomenti (come morte, violenza, nudità, problemi sociali o famigliari...) presenti negli anime: innocui per i bambini giapponesi, ma non per quelli italiani.
CANALI CONSORZIATI
Fininvest ebbe comunque dei canali-satellite: per un periodo controllava sia Junior TV che Italia 7, e lì finirono tutta una serie di titoli che sulle prime sei reti non sarebbero mai andati. Pure senza censure (vedi Ken il guerriero).
Questo ci permette di capire che un altro problema stava nel monitoraggio dei canali principali, soggetti a sanzioni se non garantivano i giusti contenuti nella fascia protetta.
Esempio lampante: Saint Seiya passò senza tagli (escluse le poche scene tolte a monte dai giapponesi) proprio su Italia 7 e Junior Tv, ma venne pesantemente censurato anni dopo su Italia 1.
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Robotech: dopo l'esordio su Rete 4, divenne un cult di Italia 7 |
SAINT SEIYA E LE SEMPLIFICAZIONI
La serie storica de I Cavalieri dello Zodiaco ci permette di comprendere inoltre che il commercio era ed è alla base di tutto, e che un prodotto ha vita solo se "vende" o "fa vendere".
L'anime fu opzionato da Giochi Preziosi al fine di poter piazzare i giocattoli; l'azienda trovò dapprima in Odeon e poi in Berlusconi (Italia 7) un canale dove trasmettere le puntate. Con un adattamento molto preciso: evitare il Giappone (Tokyo diventa Nuova Luxor) e semplificare il più possibile i nomi (Pegasus è già tale, non ha il nome civile).
L'opera di semplificazione di un prodotto permette quindi di "appiattirlo" per farlo arrivare anche al bambino più piccolo, che non rischia di perdersi (e annoiarsi, e quindi cambiare canale, e quindi non acquistare i giocattoli relativi).
È una bella cosa? No, ovviamente. Ma la fredda logica commerciale è questa, e gli stessi giapponesi lo sapevano e lo sanno, permettendo i cambiamenti e talvolta operandoli loro stessi (come per i nomi delle tre protagoniste di Magic Knight Rayearth).
L'importante è vendere e guadagnare.
Dopo aver abbandonato per un po' l'importazione massiccia di serie giapponesi (nei primi anni '90 possiamo segnalare poche cose interessanti, tra cui Il mistero della Pietra Azzurra o co-produzioni come I segreti dell'isola misteriosa...), a favore di prodotti occidentali lontani da ogni possibile problema (Insuperabili X-Men, Batman, Tazmania...), l'azienda berlusconiana non poteva certo lasciarsi sfuggire Sailor Moon, dopo aver macinato successi con l'ibrido nippo-americano Power Rangers.
I cartoni giapponesi tornano così in onda e non si tratta solo della replica dei grandi classici, ma di serie finalmente nuove e moderne, attuali.
La seconda invasione è all'apice e proprio Mediaset muta gradualmente all'interno di essa: Sailor Moon e il cristallo del cuore e Rossana sono i due titoli considerabili "ibridi", che segnano l'inasprirsi degli adattamenti e il successivo ammorbidirsi.
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Marmalade Boy: opera completamente riscritta per il mercato italiano |
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dal mio articolo su «Cartoni e TV Cult» |
La moda manga/anime, nonché la moda giapponese, erano scoppiate in Italia: ecco gli adattamenti di "reintroduzione giapponese" su titoli come A baby and I, Fancy Lala, Clamp Detectives. Dove i nomi dei personaggi sono giapponesi ma non sono proprio uguali agli originali (si scelse una sorta di semplificazione degli stessi).
L'arrivo di Dragon Ball (e poi Dragon Ball Z, One Piece...) su Italia 1 sdoganò poi completamente anche il genere "action" più maschile, riportando ogni tipo di prodotto (anche robotico) sulle frequenze di Italia 1.
BY NIGHT: ESPERIMENTI E SUCCESSI
Mediaset prova a lanciare una fascia di terza serata, con Berserk: trasmesso senza censure, diventa un cult ma non trova evidentemente così tanti consensi da giustificare altri esperimenti di questo tipo (salvo qualche film di Lupin III...).
MTV Italia invece propone la sua Anime Night, salutata da tutti i fan come una manna dal cielo.
Serie accattivanti, nuove, particolari, come Evangelion o Excel Saga. E la possibilità di vederle senza tagli, magari replicate integralmente fuori dalla fascia protetta (come per Golden Boy).
Sì, perché comunque alcune cose devono essere censurate, per poter essere trasmesse in certi orari su reti controllate dall'Osservatorio sui Minori e associazioni come il Moige: nessuno vuole rischiare multe salate.
LE CENSURE NON SI FERMANO!
Ovviamente le regolamentazioni valgono per tutti, da Mediaset ad altre reti: e quindi Ranma ½è censurato su TMC; Death Note, Nana e Aquarion sono in edizione alleggerita su MTV; Narutoè decolorato su Italia 1.
Talvolta si pensa a monte a una doppia versione, una dall'audio edulcorato da mandare in Tv (Hunter x Hunter su Mediaset, SuperGals! su Rai 2, i già citati titoli su MTV...) e l'altra per l'home video.
Ma la verità è una soltanto: sulle reti principali è impossibile trasmettere, in fascia protetta, un anime senza censurarlo di eventuali parti problematiche.
GLI ALTRI PAESI E IL RIFLESSO SULL'ITALIA
Dal già citato Robotech a Il magico mondo di Gigi, passando per Sceriffi delle stelle, Tekkaman Blade e Voltron: tantissimi titoli che noi abbiamo visto già riadattati a monte dagli americani per un passaggio sulle frequenze occidentali.
Rimaneggiamenti e tagli che trasformavano l'opera in qualcosa di "sicuro", in quanto americano, senza che la rete europea dovesse rimetterci sopra le mani.
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all'estero hanno aggiunto una fittizia cintura di sicurezza...! Ma se lo hanno dovuto fare, c'è un motivo. |
Un giro miliardario che trova la sua base nelle opere animate, veicolo pubblicitario supremo: i giapponesi lo sanno, e permettono senza alcun problema modifiche e censure a questi prodotti, che garantiscono entrate da capogiro.
Questo è il motivo per cui, in tutto il mondo occidentale, la storia di Yu-Gi-Oh!è leggermente diversa rispetto all'originale, che propone situazioni impensabili per i mercati al di fuori del Giappone.
Una standardizzazione americana che ci fa capire come ancora esistano degli ideali "blocchi" geografici e culturali, e come noi tendiamo comunque a quello - più rassicurante? - americano.
È un mondo fatto di fasce protette, investitori pubblicitari e investitori diretti; di grandi guadagni e titoli commerciali che non devono assolutamente recare problemi ai genitori e investitori stessi.
Da una latitudine all'altra, abbiamo visto, le sensibilità variano: se per gli americani il Mr. Popo di Dragon Ball può essere un personaggio rischioso, per noi questo non vale; ma da noi magari è la religione a rappresentare un tema scottante che deve quindi essere annacquato per una messa in onda pomeridiana.
In ogni caso, le sensibilità variano anche nel tempo e attraverso i cambiamenti sociali: così come alcune censure in Italia si sono dapprima inasprite e poi alleggerite, in Giappone non c'è più quella crudezza di un tempo. Le scene, ricche di sangue e ferite, di Dragon Ball Z, sono state tutte pesantemente riviste all'epoca della trasmissione più moderna di Dragon Ball Kai. Il target di riferimento restava ovviamente il medesimo, ma a cambiare erano solo i tempi.
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stessa scena, ma rivista per un pubblico attuale |
CONCLUSIONI
Ci si chiede come mai, allora, solo gli anime sono sottoposti a censura e serie come I Simpson no: a parte che non sempre è vero, abbiamo provato a rispondere QUI (click!) a tale questione, riassumendo possiamo dire che i cartoon americani per adulti sono opere satiriche che non attrarrebbero i bambini e non prevedono il relativo merchandising da vendere presso un pubblico giovanissimo. Si tratta di serie pensate solo per adulti.
Se quindi non le avesse acquistate Mediaset, certe opere non le avremmo mai viste.
O censurate o niente, perché dietro di esse c'è un giro d'affari clamoroso che necessita di passaggi sulle reti principali, in un sistema pianificato che coinvolge molte aziende.
Ci possiamo scandalizzare per i tagli e gli adattamenti (alcuni davvero assurdi), ma la verità è che - dati i vari momenti storici e sociali - quelle serie potevamo vederle, in quel momento, solo in quel modo.
Dopotutto, abbiamo sì cambiato sesso a due personaggi in Sailor Moon, ma la stessa identica cosa l'han fatta anche gli altri Paesi: questo ci fa capire che il discorso, almeno genericamente, vale davvero per tutto il mondo occidentale.
E sì: Madoka in Italia si chiama Sabrina per lo stesso motivo che ha portato a cambiare tanti altri nomi, in tanti anime su canali di diverse aziende.