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[SERIE TV] Stranger Things: una metafora sull'identità sessuale?

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Abbiamo più volte parlato di Stranger Things, qui sul blog.
Un'opera ormai diventata cult transgenerazionale, che guarda al passato (e piace ai retronostalgici) ed è amatissima anche dalle nuove generazioni.
La serie si rivolge a un pubblico generale; è un qualcosa che può piacere a tutti, come ai vecchi tempi, come quelle opere anni '80 che lo hanno ispirato e che Stranger Things stesso cita apertamente con amorevoli omaggi.
Un linguaggio classico ma anche moderno: classico nella costruzione di storie e personaggi, moderno nella profondità degli stessi. In questo specifico contesto possiamo inquadrare la caratterizzazione di certi protagonisti.
E se Stranger Things fosse (anche) una metafora sull'identità sessuale e sulla scoperta di sé, almeno per quanto riguarda Will Byers?

LEGGI ANCHE: STRANGER THINGS MANIA! PERCHÉ PIACE TANTO?

Se il conclamato e dichiarato personaggio gay è noto a chi ha visto tutte le stagioni finora prodotte, è invece sul giovane Will che voglio porre l'attenzione.
Protagonista (quasi fuori schermo) del primo capitolo, e suo malgrado ancora al centro degli intrecci mostruosi nel secondo (dove entra nel cast fisso), Will Byers appare sin da subito eccessivamente sensibile e sperduto.


Durante la terza stagione (spoiler ovviamente per chi non l'ha vista) è il suo amico e coetaneo Mike a dirgli, durante un'accesa discussione "non è colpa mia se non ti piacciono le ragazze!".
Una frase volutamente ambigua, che potrebbe significare anche "non è colpa mia se non sei (ancora) interessato alle ragazze (rispetto a noi che già lo siamo)!".
Effettivamente Will è il meno maturo tra i quattro protagonisti, ma solo apparentemente: non è da escludere che lo sia più di tutti gli altri, e che esprima la sua personalità in altri modi.
Molto meno ambigue, però, sono state le descrizioni del ragazzino sin dai primi episodi: è sua madre che, denunciando la sua scomparsa, ammette alla polizia che il figlioletto sia considerato un "finocchio" non solo dai bulletti della scuola, ma anche dal padre.


Nella seconda stagione, Will è ancora vittima dei mostruosi nemici.
Una stagione che contiene -per diversi personaggi- un senso preciso: la ricerca della normalità quotidiana. Una normalità impossibile da raggiungere se si è connessi ad altre dimensioni, o se si hanno poteri sovrannaturali.
Ma il concetto di normalità torna più volte: quando Will è con suo fratello, i due parlano (in modo palesemente metaforico) di una questione ben precisa.
Il metro di giudizio è David Bowie, preso come modello di "non-normalità", anzi di persona speciale (eccentrico, fuori dagli schermi e per questo mitico e interessante).
Non sono i normali (ossia i banali, i piatti) a fare le grandi cose.
E Will deve vivere la sua vita per qual che è.


Man mano che la storia prosegue, il sottotesto sull'identità sessuale di Will viene ribadito anche con altre metafore.
Citando di un'astronave disegnata tempo prima dal figlio, sua madre ricorda di come fu colorata con tante tonalità e fu ribattezzata dallo stesso "astronave arcobaleno".
E sappiamo tutti cosa rappresenta l'arcobaleno.

La terza stagione ha poi, con quella frase, praticamente ammesso la verità su Will: una verità che probabilmente nemmeno il personaggio conosce a fondo, ma che esiste.
Chiamato in causa a riguardo, Noah Schnapp, interprete di Will, ha detto che tale frase è interpretabile in diversi modi. Anche con il fatto che magari Will, rispetto ai suoi amici, è lontano dal crescere e desidera ancora dedicarsi a passioni infantili:
"Per me non è importante che [Will] sia gay o no. Stranger Thingsè la storia di quattro outsider [...]. Ecco perché i fratelli Duffer hanno scritto la serie in questo modo. Per cui continuate pure a farvi queste domande. Spero che la risposta non venga mai svelata!"


Ma dando uno sguardo alla bibbia della serie, che riporta le prime bozze sulla costruzione dei personaggi, ecco cosa salta fuori guardando la descrizione originale del giovane protagonista:
"Will Byers, 12 anni, è un ragazzo dolce e sensibile con dei problemi legati all'identità sessuale. Solo di recente ha capito di non rientrare nella definizione di "normalità" per gli anni '80. Le sue scelte innocenti [...] lo rendono costantemente vittima di bullismo".

Insomma, da subito Will era stato pensato in un certo modo.
E, vedrete, nella quarta stagione ne sapremo di più.
Forse proprio un'opera come Stranger Things, capace di unire platee di età e formazioni diverse, potrebbe portare tutto alla... normalità.
Anche la sessualità non convenzionale di un ragazzino. E potrebbe far riflettere.
E fare da esempio, o da insegnamento, a chi guarda lo show.

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