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[SOCIETÀ] tutte le cose stupide che abbiamo fatto in quarantena

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Ok, non siamo andati in giro a bere varechina o a dire di farlo, però di cazzate da minorati ne abbiamo fatte anche noi (il culmine ieri, 2 giugno, nelle piazze).
E così, mentre oggi l'Italia riapre (sperando che non chiuda mai più), ho raccolto quelle cose sciocche che, in fase 1 e 2, in pieno lockdown, hanno segnato le nostre giornate.

Non erano passate manco 24 ore dalla primissima chiusura (estesa ufficialmente peraltro solo a metà marzo) che già tutti abbiamo imbrattato di colore le lenzuola con la scrittà Andrà tutto bene.
Un modo per tenere impegnati i bambini, o per farsi coraggio, ma restavano oltre cinquanta giorni da colorare, per distrarsi.
Quanti corredi sono serviti, per far contenti i vostri figli?




Idem, i video con Ce la faremo.
E le scritte analoghe, che però (pur accompagnate dell'emoji della bandiera italiana) riportavano spesso c'è la faremo, ce l'ha faremo, c'è l'ha faremo.



Su Instagram, dopo due o tre giorni di chiusura, i milioni di giocatori di Serie A che abbiamo in casa si sono dati alla sfida del secolo: palleggiare la carta igienica.
Il tutto sembra partito per raccogliere fondi a favore dello Spallanzani (!?).



A ogni nuovo decreto del Premier, che spiegava le nuove disposizioni in diretta, la gente assaltava i supermercati nonostante venisse spiegato che i generi alimentari (e i beni di prima necessità) non sarebbero mancati.
E niente, ogni volta lo spettacolo dell'assalto notturno ai supermercati, manco ci fosse la guerra nucleare.



Abbiamo terminato le scorte di lievito.
La gente non sa cosa fare, in casa. Da sola. Con se stessa.
È preoccupante, al di là del fatto che questo lockdown ha messo tutti di fronte alle proprie verità.
E così ci siamo dati alla panificazione. Dolci, pizze, focacce, pane.
Sempre, ogni minuto della nostra vita ad ammassare.

Praticamente da subito, come per unirsi nell'eterna separazione, come per scongiurare il male in un rituale cavernicolo, mentre la gente moriva tanti altri, ore 18.00, flash mob con canti e balli dai balconi.




I docenti hanno mostrato enormi difficoltà a gestirsi in tempi e modi diversi, con le lezioni a distanza.
Orari sballati, quantità enorme di compiti per casa, webinar non richiesti... Il tutto perché molti non sanno adattarsi a una novità, perdendo la bussola.

Non abbiamo fatto altro che lamentarci. Sempre e comunque.
Che sia giusto o sbagliato, ma siamo stati dei piagnoni.
"Io esco lo stesso", "non me ne frega niente", "se non riaprono, mi faccio arrestare"...
E abbiamo anche sempre provato a uscire di casa. Per qualsiasi motivo, con qualunque scusa.
Cercando qua e là nelle righe di decreti (ovviamente imprecisi) ciò che avremmo potuto fare.
Senza badare alla cosa principale: l'invito/obbligo era quello di restare a casa. Punto.
Non erano i decreti a essere poco chiari: eravamo noi a voler trovare sempre una scusa per uscire.




Abbiamo fatto processioni religiose, manifestazioni piccole (25 aprile) e più grandi (ieri) il tutto senza distanziamenti sociali e spesso con mascherine abbassate.
Per non parlare dei deliri dei gilet arancioni, che non solo hanno il coraggio di sparare le loro stronzate in pubblica piazza, ma usano anche il mio colore preferito come simbolo.
Questa gente la userei davvero per fare sperimentazioni medico-scientifiche, almeno daremmo loro anche ragione e sono contenti.



Abbiamo rivoluto la Santa Messa, con un video compassionevole e gggiovane.
In realtà la Santa Messa poteva essere ascoltata ogni giorno, nessuno l'aveva abolita: questa gente voleva solo una scusa per uscire di casa, probabilmente.
O, nel caso di certi politicanti, sfruttare il sentimento religioso della gente per fare campagna elettorale.



Abbiamo sputato, contaminato, preso multe, ricominciato a fare gli aperitivi come niente fosse e senza cautela.
Festeggiato lauree e complenni, pasque e pasquette, incendiando anche i balconi.
Insomma, questo lockdown una cosa l'ha fatta davvero: ci ha fatto rimanere italiani.
Patetici e cretini, come sempre.

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