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[FUMETTI] Diabolik, La miniera degli schiavi: recensione (no spoiler)

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È passato giusto un anno dalla storia che ha dato origine a La miniera degli schiavi.
Un albo che è sequel di un'avventura uscita nell'estate 2020.
Sequel, ma anche prequel. E pure un po' midquel.
Diabolik si trova ad allacciare i fili di un discorso lasciato in sospeso, e come un anno fa dovrà fare a meno di Eva: questioni di ricordi, di geografie dolorose.

C'è proprio tutta una scena che già vedemmo nel Grande Diabolik dello scorso anno: Io sono Eva.
Una storia che raccontava un pezzetto del passato della giovane Kant, da quando -fuggita dal collegio di Morben- andò in Sudafrica.
Da lì proveniva quando noi lettori la incontrammo per la prima volta (nel terzo albo), ed è proprio lì che è restia a tornare, come (e perché) raccontato in Io sono Eva (una delle storie essenziali, vedi QUI).
Questa scena aiuta a orientarci cronologicamente.


In quel volume speciale avevamo conosciuto Roger Barry, astuto mercenario e vecchio mentore di Eva.
Ma avevamo anche visto che Diabolik -ignorando chi fosse l'uomo- aveva delle mire su di lui.
E adesso, finalmente, scopriamo il perché.




Diabolik è a caccia di diamanti
, e si sa che il Sudafrica ne è ricco: non è la prima volta che il nostro antieroe si spinge laggiù alla ricerca di simili bottini.
E infatti, La miniera degli schiaviè un albo importante anche perché è uno dei pochi a citare un posto reale, in una geografia fantastica che ha sempre evitato troppi riferimenti diretti.


Chi si preoccupa di trovare una storia non del tutto comprensibile (in quanto sequel di un'altra) può stare tranquillo.
Come nella migliore tradizione di Diabolik, l'albo è leggibile da chiunque: ogni passaggio spiegato chiaramente e c'è persino un piccolo contribuito disegnato da Giuseppe Palumbo, con 6 tavole flashback tratte da Io sono Eva.



La miniera degli schiavi
ci mostra ancora una volta il personaggio di Barry, riuscitissimo già nell'albo del suo debutto e che qui è mattatore assoluto e assoluto co-protagonista.




È una storia che idealmente chiude una vicenda vagamente lasciata in sospeso, e lo fa con pagine ricche d'azione e di sentimento.
La miniera degli schiavi scorre via veloce: da un'idea di Angelo Palmas, il direttore Gomboli e Tito Faraci progettano una sceneggiatura al fulmicotone, ottima da godersi sotto l'ombrellone.
I disegni di Giordano (con chine di Santoro) sono puliti e precisi, inserendosi nella tradizione classica dell'arte del Re del Terrore.

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