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[RIVISTE] Neo Tokyo, intervista all'ideatore del magazine

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Solo due numeri, usciti a novembre e dicembre del 2002.
Neo Tokyo si presentò in edicola a sorpresa, senza che nessuno ne sapesse niente.
Nonostante il grande boom dei manga in quel periodo (vedi QUI la storia del fumetto giapponese in Italia), paradossalmente proprio le riviste erano il prodotto che soffriva maggiormente.
Però si era anche in una fase dove sperimentare -con entusiasmo- era ancora possibile.
E questa è la storia di Neo Tokyo, che ho deciso di far raccontare a chi, proprio in quel periodo, era nello staff che ideò questo magazine...

Ho raggiunto infatti Luciano Costarelli (artista, grafico, fumettista): c'era lui dietro al progetto Neo Tokyo della torinese Junior Publishing, ed è lui che ci spiega come andarono le cose...

Miki - come e perché nacque l’idea di Neo Tokyo?
Luciano - collaboravo con la casa editrice facendo disegni per gli albi "Pennarello magico".
Realizzavo disegni di Dragon Ball Z, One Piece e Magica Doremì, si vendevano molto bene.
A inizio 2000 c’era un mini-boom degli anime (vedi QUI la storia dell'animazione giapponese in Italia), sapevano che io avevo le mani in pasta in queste cose, per cui mi chiesero di progettare una rivista che ne parlasse, da far uscire in edicola.






Miki - Neo Tokyo si presentava come una rivista di 68 pagine in formato A4. Come lavoraste al progetto? Qual era il target pensato per la rivista?
Luciano - era qualche anno che bazzicavo il mondo delle fanzine e prozine, in partcolare ne avevo impaginata una, Anidream, coordinata da Giuseppe Nelva, che aveva un aspetto rivoluzionario per l’epoca: tutta la redazione non era nello stesso luogo ma si collaborava attraverso la rete. Adesso sembra scontato, ma nel ’98 vi assicuro che era davvero una novità.
Replicai la formula qualche anno dopo con Neo Tokyo e devo dire che questo ci permise di avere materiale molto fresco.






Mi è capitato di leggere articoli nei due anni seguenti di cose che avevamo trattato lì per primi, come Avalon, il film di Mamoru Oshii.
Il target erano gli otaku italiani, un po’ più alto di età e meno generalista di -per esempio- Japan Magazine.
I redattori erano molto preparati, ognuno nel proprio campo, e il nostro obiettivo era di portare in edicola quello che dovevi cercarti in rete (soprattutto sui siti esteri oppure grazie a contatti diretti), cosa che non tutti avevano la possibilità di fare.
C'erano anche articoli sulla società giapponese e sulla musica.
Volevamo portare la nostra passione per il Giappone in una rivista come sarebbe piaciuta a noi, con contenuti e illustrazioni originali.
Nel primo numero facemmo una convenzione con una agenzia di viaggi giapponese legata alla All Nippon Airway e demmo tutti i consigli per organizzare il viaggio in Giappone, che all’epoca era quasi una chimera.






Miki - In ognuno dei due numeri vi era un poster in allegato (Zoro di One Piece e i Saiyan di Dragon Ball Z): si trattava di prodotti in mano a Mediaset: è stato facile averne i diritti?
Luciano - Sì, perché la casa editrice trattava già quelle licenze per altri prodotti come gli albi da colorare.

Miki - sulle pagine di Neo Tokyo apparivano due serie a fumetti: Aris e Argento.
Portavano la tua firma: che ricordi hai delle due serie presentate lì?

Luciano - più che altro rimpianti. Le storie erano davvero buone, i disegni no. O meglio solo in piccola parte. Tieni conto che io fino ad allora avevo sempre pubblicato su un formato piccolo, tipo A5. Molti di quei disegni, quello spessore di tratto, in grande non funzionavano per niente.
Purtroppo, quando me ne resi conto (all’uscita della rivista) erano già stati consegnate le tavole del secondo numero.
Non era una grande casa editrice tipo la Disney che si prende un anno per un progetto, molta editoria di quel periodo era così: cotta e mangiata, buona la prima.






L’altro aspetto che non mi soddisfaceva era che per tenere quella media di tavole mensili mentre continuavo a lavorare come illustratore e art director, avevo messo in piedi uno staff sul modello giapponese. Questo vuol dire non avere il pieno controllo come quando fai tutto tu, per cui se con gli sfondi, nella maggior parte dei casi ci guadagnavano pure, i colori li avrei fatti diversamente, il lettering aveva un brutto font, insomma, avessimo continuato per qualche numero, probabilmente avremmo avuto la possibilità di aggiustare il tiro.






Miki - per quanto sarebbero continuate queste serie?
Luciano - come sempre dipendeva dalle vendite.
Il terzo numero era pronto, ma prima di consegnarlo arrivarono all’editore i dati di vendita del primo numero che non erano soddisfacenti, per cui si chiuse lì.
Oggi probabilmente sarebbero considerati buoni, ma all’epoca giravano ben altri numeri. Mancò a mio avviso la capacità di vendere più pubblicità, che teneva in piedi molte riviste. Per me i contenuti c’erano, l’esperienza ce la stavamo facendo, ma d’altra parte la Junior Publishing aveva fatto uno sforzo notevole per le sue dimensioni e a ripensarci ho solo gratitudine per l’occasione data ad un gruppo di sinceri appassionati, senza alcuna imposizione o censura.


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