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[CULTURA POP] la morte nelle opere pop: ne siamo colpiti o assuefatti?

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Probabilmente anche voi, come me, avete due "anime pop", specie se i prodotti con cui siamo cresciuti sono gli stessi.
A grandi linee, da un lato fumetti e cartoons americani; dall'altro, fumetti e cartoons giapponesi.
In mezzo, ovviamente, tanto altro: ma prendiamo come esempio solo quei due macro-mondi, utili a comprendere il tema di oggi.
La morte nelle opere pop: quando un personaggio muore, o comunque quando il tono diventa dark. Ne siamo colpiti oppure ormai ne siamo assuefatti? 


Questa riflessione nasce dalla visione collettiva di un'opera che, pochi giorni fa, ho avuto coi miei amici.
In una sequenza altamente adrenalinica e drammatica, uno dei protagonisti stava per... non farcela. Ma alla fine ce l'ha fatta.
Tutti abbiamo tirato un sospiro di sollievo, tranne un paio di noi, che avrebbero preferito veder crepare (e pure male) questo personaggio.
Perché?






Effettivamente, a sdoganare la morte come elemento per catturare la flebile e momentanea attenzione è stato Il Trono di Spade: in quasi ogni puntata muore qualcuno, anche tra i protagonisti storici.
Questo ha creato una assuefazione alla morte.
Pensate: mi proposero Il Trono di Spade conoscendo la mia passione per Berserk.
Perché anche Berserkè dark e non si fa scrupoli a eliminare personaggi.
Ma la differenza tra le due opere è abissale: Berserk non ha mai ricercato l'attenzione o la scarica di adrenalina solo con la morte di qualche personaggio.
Farlo continuamente non ha senso, e anzi si perde pure il valore stesso della morte come colpo di scena.






Dicevamo che siamo cresciuti con una doppia anima: le opere americane inneggiavano alla vita; colpi brutali erano spesso di genere slapstick e comunque non moriva quasi mai nessuno.
Le opere orientali prevedevano spesso anche la tragedia della morte, e spesso si trattava anche di trasposizioni di vecchi prodotti europei, peraltro.
Il dramma, qui, era più forte.
Ma ogni scena in tal senso aveva un suo perché. Come un perché (narrativo o tecnico) lo ha qualsiasi personaggio che, alla morte, scampa.






Ma ciò ci ha permesso anche di saper distinguere tra i vari "tenori" di un'opera.
Lo shock emozionale che può dare la morte di qualche personaggio è una cosa che fa parte del personaggio stesso, che occorre solo se è necessario che avvenga.
Ci sono delle regole, anche di buon gusto, nella narrazione e nella messa in scena. Pure sulla morte di qualche protagonista.
Ma la natura di ogni opera va rispettata, e parla (implicitamente) per sé.
Ad esempio, per come la vedo io, opere come Masters of the Universe non hanno certo bisogno dell'ecatombe messa in atto (anche irrispettosamente) da Kevin Smith in Revelation.
Non che non debba mai morire nessuno, ma i Masters non sono un'opera che ha bisogno di essere dark e sanguinolenta per raccontare la propria trama.
Se non a chi, adulto insoddisfatto e/o arrabbiato, ha bisogno della violenza a tutti i costi per autogiustificarsi nella visione di un prodotto che porterebbe forse ancora l'etichetta di "opera per bambini".






In Diabolik non c'è certo bisogno che Ginko, Altea o Eva muoiano: garantirebbe sì uno shock, ma rovinerebbe i pilastri di una formula che funziona da oltre novecento storie.
Anche quando muoiono i supereroi, non muoiono mai definitivamente: risorgono.





Sangue, morte reiterata, distruzione sono elementi da gestire con cura e in base al tipo di opera, ma soprattutto nel rispetto della stessa.
Chi è alla continua ricerca di queste cose, da applicare solo per alzare un'asticella su un'emozionalità finta e un coinvolgimento shockante, per me ha dei problemi nell'approccio sereno a una visione o lettura.
E ve lo dice uno che ama le morti dei cattivi nei film Disney, storcendo il muso verso quei film dove gli antagonisti non pagano a dovere le loro malefatte.
Voi che ne pensate?

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