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[SERIE TV] Ratched, la recensione (no spoiler)

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Ratched, uscita nei suoi primi otto episodi su Netflix il 18 settembre, è entrata velocemente nella top ten delle serie più viste in Italia.
È la perfetta Sarah Poulson, ancora una volta diretta da Ryan Murphy (American Horror Story, Hollywood) a impersonare l’imperscrutabile e sadica infermiera Mildred Ratched, spietata antagonista di Qualcuno volò sul nido del cuculo.
Difatti possiamo dire che questa serie sia il perfetto spin-off o prequel di quello che fu il passato della Ratched, prima che impazzisse totalmente nel romanzo del 1962. 
Ce ne parla oggi Denny, in questo guest-post.


Ratchedè ambientato nel 1947, in una clinica psichiatrica della California.
Il direttore della struttura, il dottor Hanover, compie i più torbidi degli esperimenti sui suoi pazienti per curare le più disparate turbe psichiatriche come la schizofrenia, lo sdoppiamento della personalità, financo l’omosessualità che in quegli anni era considerata un abominio; argomento che nella serie ha un ruolo primario insieme al perfetto assetto artistico (quasi) tutto in rosa: sì, perché Ratchedè una serie donna al cento per cento, dove gli uomini sono solo ombre sullo sfondo e tutto ciò è davvero fighissimo.



Tornando ad Hanover, egli è convinto -nei suoi eccessi di luminare dopato- di poter disconnettere in qualche modo ciò che assilla e perturba le menti dei suoi pazienti, operando attraverso delle pratiche “mediche” spettrali come la lobotomia.
Ma Hanover è un drogato, nasconde un preoccupante passato che lo tormenta e ha una grossa taglia sulla testa; tutti questi segreti minano pesantemente il suo equilibrio mentale, nonché il suo operato.
È grazie all’arrivo nella sua clinica del più deviato e psicopatico dei serial killer della contea, Edmund Tolleson (Finn Wittorock), reo di aver commesso una strage di preti, che Hanover vuol fare il colpaccio: convincere il Governatore George Wilburn (Vincent D’Onofrio) in corsa per il suo secondo mandato, a stanziare fondi per la sua clinica ormai a secco di capitale, e in cambio giudicherà il killer sano di mente per poterlo così giustiziare, come vorrebbero i suoi elettori che lo riconfermerebbero in carica.



Ma l’impeccabile Mildred Ratched fa tutto ciò che le è possibile per farsi assumere dal dottor Hanover ed entrare finalmente a lavorare nella clinica psichiatrica.
I suoi segreti e il suo oscuro passato, celati da un aspetto curatissimo e perfetto, da un’eleganza struggente e da un carattere tagliente e granitico, dovranno per forza di cose scontrarsi con l’eccentricità di Hanover e l’algida caposala Bucket (una spigolosissima Judy Davis), la quale forse sarà l’unica a dar del filo da torcere alla nuova infermiera.



Ma perché la serafica Ratched è così ostinata ad entrare in quella clinica?
Non vi resta che scoprirlo da soli, in un tuffo nelle atmosfere technicolor degli anni Quaranta, in un orgasmo di saturazione della fotografia quasi stordente, eppure così dolce e magnetico, insieme a quelle musiche così perfettamente incastonate in questa trama che trasuda misteri e segreti in ogni angolo del racconto, e che in un modo o nell'altro intrecciano tutti i personaggi.
In un certo senso c’è un non so che di lynchiano in tutto ciò, sarà mica perché la figlia di David Lynch dirige uno degli episodi?
Chissà, ma l’unica cosa di cui son certo è che è stata partorita una serie inattesa, che ha un potenziale di trama davvero notevole, e che facilmente farà incetta di premi, perché Ratched forse è l’anello mancante nelle produzioni Netflix, e onestamente ne avevamo davvero bisogno. 
 

Recensione a cura di Denny

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